Quando, come investitori siamo alla ricerca di aziende eccellenti, dobbiamo rivolgerci a quelle aziende che sono in grado di far cresce nel tempo non solo il proprio fatturato ma anche i profitti. Tuttavia produrre utili non è sufficiente; compito dei manager della società (nell’interesse degli azionisti) è quello di gestire i profitti utilizzandoli nel miglior modo possibile, o in termini economici, nella misura più efficiente.

Vi sono diversi modi attraverso i quali una azienda può reinvestire i propri utili nell’interesse degli azionisti, ma in sintesi sono tutti riconducibili a 2 azioni fondamentali: reinvestimento per la crescita o redistribuzione delle risorse in eccesso agli azionisti, attraverso la distribuzione di un dividendo oppure con il buyback.

Analizziamo in questo post le possibili soluzioni e i modi con cui il management può definire il giusto mix nell’utilizzo delle risorse.

Crescita a tutti i costi?

La crescita può essere realizzata attraverso investimenti in nuovi progetti oppure in acquisizioni di aziende.

Occorre tener presente che non è la crescita in se a generare valore ma solo quella che possiamo definire “redditizia”, ovvero accompagnata da una redditività del capitale superiore al suo costo. Un’azienda può crescere a tassi elevati senza tuttavia produrre valore, o addirittura può distruggerlo, se i progetti in cui investe hanno un rendimento inferiore al costo del capitale.

Facciamo un esempio volutamente semplicistico ma che ci aiuta a definire meglio i concetti esposti. Se un’azienda raddoppia il fatturato da 100 M€ a 200 M€ ma il risultato netto rimane di 10 M€, è intuitivo che la crescita dei ricavi non ha portato benefici agli azionisti. Tuttavia, se per aumentare i ricavi l’azienda ha dovuto anche fare investimenti, è chiaro che questi (almeno nel periodo considerato) non hanno prodotto alcun rendimento, pertanto i manager avrebbero potuto allocare le risorse in maniera più efficiente per ottenere un qualsiasi rendimento almeno superiore a zero.

Trovare progetti con rendimenti superiori al costo del capitale non è sempre facile e le aziende di successo prima o poi si trovano di fronte al dilemma di come restituire agli azionisti le risorse in eccesso, ovvero quelle che non possono essere reinvestite all’interno dell’azienda senza correre il rischio di bruciare valore anziché crearlo. Questo è tanto più vero quanto più elevate sono le dimensioni dell’azienda.

A titolo di esempio consideriamo una azienda che ha un ROIC del 25% e genera un cash flow di qualche decina di Euro Bn ogni anno (a qualcuno viene in mente Apple?). Trovare ogni anno progetti (o altre aziende da acquisire) con un ROIC pari a quello attuale o comunque pari al costo del capitale non è impresa semplice e prima o poi l’azienda sarà costretta a prendere in considerazione le opportunità di redistribuire il surplus di risorse ai propri azionisti.

Cash flow Apple (APPL.N) 2007-2016. Fonte: www.morningstar.com

Gli strumenti con cui l’azienda può restituire risorse agli azionisti sono: distribuzione dividendi e riacquisto di azioni proprie (buyback).

Vediamo in breve le caratteristiche principali delle 2 soluzioni.

Che cos’è un dividendo?

Il dividendo è quella quota di utile che una società decide di distribuire ai suoi azionisti alla fine di ogni esercizio contabile come remunerazione del capitale investito.

E’ l’assemblea ordinaria dei soci che, dopo aver approvato il bilancio, definisce tempi, modi e quantità degli utili da distribuire. L’assemblea decide l’ammontare di utili da distribuire sotto forma di dividendo dopo aver accantonato una quota da destinare a riserva legale e dopo aver trattenuto un’eventuale ulteriore somma da impiegare per reinvestimenti o finalità aziendali.

La più diffusa forma di erogazione dei dividendi è quella in contanti. Essi possono essere distribuiti anche sotto forma di azioni (“stock dividend“): ove si tratti di azioni di nuova emissione la distribuzione avverrà tramite un aumento gratuito di capitale.

Il dividendo può essere ordinario o straordinario. Generalmente il dividendo ordinario è quello derivante da utili dell’esercizio in corso, mentre quello straordinario è legato alla decisione dell’azienda di distribuire risorse in eccesso accumulate anche in esercizi precedenti.

 

Che cos’è un buyback?

Il buyback è il riacquisto di azioni proprie da parte della società che le ha emesse, con l’effetto di ridurre il numero di titoli sul mercato. Con il buyback i titoli riacquistati vengono assorbiti e cancellati. È evidente che quando questo avviene il valore delle azioni circolanti si incrementa, poiché essendocene meno sul mercato, ogni titolo dà il diritto al possesso di un pezzetto più grande dell’azienda e con esso il diritto ad una fetta maggiore di profitto.

Da un punto di vista pratico i buyback possono essere realizzati in due modi.

  1. Offerta diretta con la quale l’azienda si rivolge direttamente ai propri azionisti offrendosi di ricomprare un numero stabilito di azioni ad una forchetta di prezzo fissata ed entro un determinato intervallo temporale.
  2. Acquisto sul mercato. In questo caso l’azienda opera esattamente come farebbe un qualsiasi investitore acquistando i titoli sul mercato. Questo soluzione potrebbe essere meno vantaggiosa per la società poiché appena si diffonde la notizia del buyback in corso il prezzo dei titoli tende a salire.

 

Le principali caratteristiche di dividendo e buyback

  1. I dividendi vengono solitamente pagati a intervalli regolari (annualmente, semestralmente o trimestralmente). Questa caratteristica è particolarmente apprezzata da coloro che sono alla ricerca di flussi di cassa regolari. D’altra parte, quando una azienda inizia un piano di distribuzione di dividendi deve tener presente che qualsiasi comunicazione successiva su aumento, diminuzione o cancellazione del dividendo ha un effetto immediato sulle aspettative del mercato e degli azionisti. I buyback di azioni sono meno vincolanti; una società non ha alcun obbligo di completare un programma di riacquisto dichiarato, quindi in qualsiasi momento può rallentare il ritmo dei buyback per risparmiare denaro o (aumentarlo se ritiene che il prezzo di mercato dell’azione sia sottovalutato) senza tuttavia affrontare la stessa reazione del mercato.
  2. I buyback hanno un effetto sul numero di azioni della società in circolazione , i dividendi no: quando un’azienda paga dividendi, il numero di azioni non è influenzato, ma quando acquista azioni, il numero di azioni diminuisce in funzione del numero di azioni acquistate. Di conseguenza, i rimborsi di azioni alterano la struttura di proprietà dell’impresa, lasciando quelli che non vendono le loro azioni con una quota maggiore.
  3. I dividendi restituiscono il denaro a tutti gli azionisti, i buyback no: quando le società pagano dividendi, tutti gli azionisti ricevono denaro in proporzione al numero di azioni che detengono. Con il buyback, solo gli azionisti che restituiscono le proprie azioni alla società ricevono denaro contante mentre gli altri non ricevono alcun flusso di cassa ma acquistano una quota maggiore della società.
  4. I dividendi e i buyback possono avere conseguenze fiscali differenti: In molte legislazioni i dividendi e le rendite da plusvalenza sono tassate in maniera differente, quindi i risparmiatori potrebbero avere una preferenza per una forma di profitto rispetto ad un’altra. Inoltre da un punto di vista temporale, in caso di distribuzione dei dividendi gli azionisti pagano subito le imposte, in caso di buyback possono rimandare l’effetto fiscale fino a quando detengono i titoli in portafoglio.

 

Dividendo o buyback? Una scelta complicata

Da quanto abbiamo detto finora, quali conclusioni possiamo trarre sui criteri che un’azienda dovrebbe utilizzare per decidere tra buyback e distribuzione di dividendo? Questo dipende da quanto il management è fiducioso sui futuri flussi di cassa rispetto alla necessità di flessibilità sull’allocazione degli stessi flussi.

I buyback offrono alle aziende una maggiore flessibilità sull’utilizzo di flussi cassa per sfruttare opportunità di investimento in contesti caratterizzati da particolare volatilità. Al contrario, le società che pagano dividendi godono di una minore flessibilità perché un eventuale taglio del dividendo rispetto ad un programma già annunciato, ha conseguenze negative sulle aspettative del mercato e solitamente anche sui prezzi di borsa dell’azione. Quindi il management dovrebbe impegnarsi in un piano di distribuzione di dividendi solo quando abbia una ragionevole confidenza che i flussi di cassa futuri potranno sostenere il livello di dividendo attuale .

 

Ma nella realtà cosa succede?

A prescindere dalla teoria sul comportamento corretto relativo alle scelte tra dividendo e buyback, vediamo come si comportano nella realtà le aziende e prendiamo ancora una volta come perimetro di analisi il mercato azionario per eccellenza, quello statunitense.

Nell’ultimo decennio le aziende hanno variato notevolmente le modalità con cui hanno redistribuito ricchezza agli azionisti; successivamente alla crisi del 2008 sia la distribuzione di dividendo sia il riacquisto di azioni sono diminuiti notevolmente, per effetto di un crollo degli utili aziendali accompagnato probabilmente ad un approccio più prudente delle aziende che hanno cercato di trattenere un maggior flusso di cassa per far fronte ad un periodo particolarmente turbolento.

A partire dal 2010 le aziende hanno iniziato nuovamente a redistribuire ricchezza agli azionisti raggiungendo nel 2014 i livelli pre-crisi.

Se prendiamo come riferimento il free cash flow che rappresenta (forse meglio degli earnings) la capacità di una azienda di generare risorse e la confrontiamo con il livello di buyback possiamo notare che a partire dal 2010 il rapporto tra buyback e free cash flow sui 12 mesi precedenti è costantemente aumentato fino a raggiungere livelli prossimi al 60%.

 

E infine: i buyback portano davvero benefici agli azionisti?

Il grafico di seguito mostra la performance a 5 anni di un ETF che replica un indice delle società che hanno effettuato buyback di almeno il 5% di azioni proprie durante l’anno con la performance del NASDAQ.

Come si può vedere, almeno nel periodo considerato, questa strategia non avrebbe consentito di sovraperformare l’indice di riferimento.

 

 

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