“Non esistono più le mezze stagioni!”. Si tratta solo di un proverbio, di una regola climatica o può valere anche per gli investimenti in Borsa? Iniziamo con questo post il nostro viaggio nell’analisi dei cicli dei mercati analizzando le relazioni tra i rendimenti delle azioni e il calendario.

Concentreremo le nostre riflessioni sul mercato americano, che rappresenta per gli investitori il riferimento per eccellenza.

La stagionalità dei mercati è un riflesso degli aspetti culturali di una società. In passato, con una società prevalentemente agricola, Agosto era uno dei mesi migliori in termini di rendimenti di borsa. Con la trasformazione della società verso un’economia di tipo industriale, Agosto è ora uno dei mesi peggiori. Durante le vacanze estive infatti, gli operatori di mercato sembrano preferire la spiaggia, i cocktails e la piscina ai monitor dei pc. Per tutta l’estate i volumi degli scambi tendono a diminuire; a s
ettembre con il ritorno al lavoro, la fine del terzo trimestre e la propensione degli operatori a riposizionare i loro portafogli per minimizzare gli impatti fiscali, si assiste generalmente ad un sell off sul mercato azionario che rende Settembre in media il mese peggiore in termini di rendimenti delle azioni.

A partire dall’inizio del quarto semestre, il mercato e gli indici tendono a salire grazie al flusso positivo dei bonus di esercizio e al tentativo delle case di investimento di riposizionarsi per fine anno.

Poi c’è il nuovo anno, che tende a portare con sé ottimismo e previsioni positive sui guadagni del quarto e del primo trimestre. Le borse tendono quindi a salire fino alla metà del secondo trimestre, dopodiché, con l’arrivo della stagione estiva il ciclo ricomincia.

Alcuni aspetti di questo ciclo sono riassunti nei modi di dire diffusi tra gli operatori di Wall Street come il famoso “sell in May e go away” che invita a vendere le azioni in Maggio e godere dei frutti degli eventuali guadagni nella prospettiva di un mercato al ribasso durante la stagione estiva. (Curiosità: il modo di dire è in realtà originario dell’Inghilterra e recita nella sua forma completa “Sell in May and go away, come back on St Leger Day.” St. Leger Stakes è l’ultima corsa di cavalli della stagione e si svolge a fine Settembre).

A parte le indicazioni derivanti dalla saggezza popolare, sono diversi gli analisti che hanno cercato di evidenziare correlazioni tra il calendario e i rendimenti di borsa. Una semplice strategia di trading messa a punto da J. Hirsch e descritta nel suo libro “the little book of stock market cycles” consiste nel rimanere investiti in azioni da Novembre ad Aprile per poi spostarsi su altri assets nel periodo da Maggio a Ottobre. Ma questa strategia funziona davvero?

Fonte: nostra elaborazione su dati del libro “The little book of stock market cycles”

Secondo uno studio retrospettivo dello stesso Hirsch, chi l’avesse applicata a partire dal 1950 avrebbe ottenuto ritorni sensazionali, dal momento che 10.000 usd investiti nei 6 mesi da Novembre ad Aprile avrebbero generato un guadagno di 674.000 usd contro una perdita di circa 1.000 usd nel caso il capitale iniziale fosse stato investito nei sei mesi peggiori, da Maggio a Ottobre.

 

Euforia per l’anno che verrà: Effetto Gennaio

Una delle anomalie discusse tra quelle legate al calendario è il così detto “Effetto Gennaio”, secondo cui le small stocks, hanno generalmente performance superiori rispetto alle large stocks nel mese di Gennaio. Questo fenomeno è stato osservato per la prima volta all’inizio degli anni 80, e negli ultimi 90 anni si è generalmente confermato, con rendimento annuo composto delle small stocks mediamente superiori di quasi 5 punti rispetto alle large stocks.

Uno degli aspetti interessanti dell’“Effetto Gennaio” è che sembra essere un fenomeno diffuso su vari mercati, non solo specifico di quello statunitense. Nel mercato giapponese ad esempio è stato osservato con un impatto ancora superiore a quello americano.

Nonostante sia stato osservato per la prima volta oramai più di trenta anni fa, l’ “Effetto Gennaio”non è affatto scomparso negli ultimi decenni, come invece ci si potrebbe aspettare, in un mercato di capitali efficiente, da un fenomeno che ha avuto enorme risalto e che potrebbe spingere gli investitori ad adottare strategie di investimento simili e facilmente replicabili (con conseguente annullamento di qualsiasi extra rendimento).

 

Esistono quindi condizioni fondamentali che possono aiutare a spiegare come mai gli investitori tendono a preferire le small stocks a gennaio? Dobbiamo concludere che l’effetto gennaio è uno dei casi in cui i mercati sono inefficienti?

Fonte: http://aswathdamodaran.blogspot.it

Una prima possibile spiegazione dell’effetto gennaio riguarda gli aspetti fiscali. Le small stocks, specialmente quelle che hanno registrato perdite nei mesi precedenti, vengono vendute a dicembre per ragioni fiscali. Se è vero che prima dell’introduzione delle imposte sulle persone fisiche, negli USA tale effetto non era presente, è altrettanto vero che in altri paesi questo effetto esiste indipendentemente dalla struttura fiscale.

Un’altra tesi a sostegno dell’effetto gennaio si riferisce al fatto che gli investitori percepiscono a dicembre i loro bonus e quindi a gennaio hanno maggiori disponibilità liquide per investire. Questo non spiega tuttavia perché la preferenza viene accordata alla small stocks piuttosto che alle large stocks. Forse i gestori di portafogli tendono ad acquistare a gennaio le small stocks con una duplice prospettiva: se ottengono ottime performance potranno venderle e realizzare guadagni con cui sovraperformare l’indice di riferimento; se sono andate male, ugualmente le venderanno per non farle apparire nei prospetti di sintesi che sottopongono ai clienti.

 

Si ritorna al lavoro: Effetto Settembre

Il ritorno dalle vacanze è sempre complicato, sole e mare lasciano il posto alla sveglia mattutina che ci riporta al lavoro. Anche la borsa sembra risentire di questo effetto “deprimente” dal momento che settembre è di gran lunga il mese peggiore in termini di rendimenti azionari. Così come l’effetto gennaio, anche l’effetto settembre non è esclusivo del mercato statunitense ma si riscontra anche su altri mercati.

 

Fonte: nostra elaborazione su dati del libro “The little book of stock market cycles”

Anche qui le possibili spiegazioni avanzate per spiegare la relazione causa effetto sono molteplici (e a volte piuttosto bizzarre). Tra le spiegazioni più superficiali c’e quella di chi sostiene che gli investitori individuali liquidano le loro posizioni in settembre per fare fronte alle spese scolastiche dei figli. Altri avanzano la possibilità che l’effetto dipenda dal fatto che per molti mutual funds l’anno fiscale finisce in autunno e quindi a settembre cercheranno di liquidare le posizioni in perdita per ridurre l’imponibile fiscale.

 

Il giorno degli acquisti: l’effetto week end

Dal momento che esistono mesi migliori (o peggiori) di altri, cosa possiamo dire invece dei giorni della settimana?

Di sicuro molti di noi odiano il lunedi, che per convenzione rappresenta il momento in cui, dopo 2 giorni di relax, siamo “costretti” a tornare al lavoro. Gli investitori non sembrano fare eccezione dal momento che il lunedì è il giorno peggiore della settimana. Anche in questo caso, l’effetto non è confinato al solo mercato statunitense ma si estende ad altri mercati tra cui Giappone e principali marcati europei (Londra e Francoforte).

Se gli investitori odiano il lunedì, sembrano però amare il venerdì, che è di gran lunga il giorno migliore i termini di rendimenti.

Questo fenomeno, che si è dimostrato costante fino agli anni 90, ha subito una inversione di tendenza, tanto che nel nuovo millennio, gli investitori sembrano essere propensi a rimanere “lunghi” (ovvero investiti in azioni”) durante il week end e il lunedi sembra essere diventato uno tra i giorni della settimana con la performance migliore.

 

Fonte: nostra elaborazione su dati del libro “The little book of stock market cycles”

 

Anche i traders hanno bisogno di cibo

Per gli amanti delle statistiche, qualche studioso e analista ha provato a verificare l’esistenza di tendenze più o meno consolidate nel movimento degli indici durante la giornata.

Dal 1987, anno in cui sono stati disponibili per la prima volta i dati con intervalli di mezz’ora sul Dow Jones Industrial Average, si assiste a una generale debolezza degli indici in fase di apertura e subito a cavallo della pausa pranzo.

 

Fonte: nostra elaborazione su dati del libro “The little book of stock market cycles”

Forse in apertura i traders tendono a rivalutare le loro posizioni in portafoglio sulla base della chiusura del giorno precedente e quindi spingono il sell off in avvio delle contrattazioni.

La stessa cosa sembra avvenire attorno alle 02:00 PM quando i traders, di ritorno da pranzo, cercano di riposizionarsi in vista della chiusura, che invece vede nell’ultima ora di contrattazioni un aumento generalizzato della performance.

 

Conclusioni: è tutta una questione di “timing”?

Dopo aver passato in rassegna tutte queste anomalie che insegnamenti possiamo trarre da queste analisi?

Di sicuro gli effetti appena citati costituiscono una forte tentazione per implementare strategie di investimento basate su queste informazioni. Tuttavia occorre tenere presente che esistono alcuni rischi.

In primis, i rendimenti superiori legati alle fasi del calendario non sono una certezza e in alcuni anni non si verificano. Siamo pronti come investitori ad accettare risultati diversi anche per un periodo di tempo prolungato?

Inoltre, una strategia basata sulle anomalie richiede continue operazioni di compravendita che implicano elevati costi di transazione. Lo sviluppo del trading on line ha ridotto sicuramente tali costi di transazione ma la (eventuale) realizzazione di guadagni implica pesanti costi fiscali dovuti alla tassazione di capital gain.

In ogni caso, anche se non consigliamo di impostare strategie di investimento basate unicamente su queste anomalie, come investitori possiamo tenerle in considerazione per migliorare il timing del nostro ingresso o uscita dai mercati.

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