Lo scorso 24 Settembre si sono tenute le elezioni tedesche e a 2 settimane di distanza dal voto possiamo affermare che l’impatto dell’esito delle urne è stato piuttosto limitato sulla Borsa tedesca e in generale sulle borse europee. Tuttavia,  i teorici dell’analisi dei cicli di borsa sono sempre alla ricerca di possibili relazioni tra i cicli economici (e di borsa) e il ciclo delle elezioni. Ma esiste davvero questa correlazione? Prendendo ancora una volta come riferimento il mercato americano, vediamo cosa è successo negli ultimi 130 anni ogni volta che i cittadini sono stati chiamati a eleggere il loro presidente.

 

Come la politica influenza la Borsa

Di certo, in borsa il passato non si ripete mai esattamente uguale a se stesso ma la storia spesso si assomiglia e può rappresentare una guida per districarsi nei mercati e predire i trend futuri con un certo livello di affidabilità. In questo senso i dati del passato indicano un certo grado di correlazione tra elezioni presidenziali e cicli di borsa. In estrema sintesi, la borsa americana ha dimostrato di ottenere risultati di gran lunga migliori negli ultimi 2 anni del mandato presidenziale piuttosto che nei primi due.

Nella tabella sottostante possiamo osservare rendimenti divisi per i quattro anni del mandato presidenziale (1886-2012) da cui emerge che i rendimenti maggiori sono stai ottenuti nel terzo anno di mandato ( pre-election), seguito dal quarto, mentre il primo anno post elezioni é di gran lunga quello con il rendimento inferiore.

Fonte: nostra elaborazione su dati del libro “The little book of stock market cycles”

 

Che tipo di interpretazione possiamo dare di questi dati?

Una chiave di lettura secondo alcuni può essere che indubbiamente le elezioni presidenziali sono accompagnate da manipolazioni più o meno evidenti dell’economia attraverso le quali l’amministrazione in carica cerca di mantenere il potere. Nel tentativo di ottenere la rielezione , i presidenti in carica tendono a prendere le loro decisioni più impopolari (e spesso dolorose)  nella prima metà del loro mandato mentre con l’approssimarsi del voto cercano di prendere decisioni  per accattivarsi il favore degli elettori.

Ne sono un esempio le politiche fiscali e di spesa pubblica che hanno l’obiettivo di aumentare il reddito pro-capite degli elettori aumentando la loro percezione di benessere in vista della nuova tornata elettorale. La controindicazione di questo atteggiamento è che spesso nei 2 anni successivi all’elezione, l’economia e la Borsa sono chiamate a pagare il prezzo di queste scelte.

Ad esempio, dopo un periodo prolungato di espansione economica (e crescita dei valori borsistici) durante l’amministrazione Clinton, il suo successore G. Bush si trovo davanti alla recessione di inizio millennio nei primi 2 anni dopo la sua elezione. I successivi stimoli all’economia attraverso la riduzione delle tasse e la facilitazione dell’accesso al credito hanno spinto i mercati su nuovi massimi. Allo stesso tempo però queste politiche hanno contribuito ad alimentare la “bolla” del credito con la ben nota crisi scoppiata nel 2008.

Proprio il successore di Bush, Obama ha dovuto fronteggiare nei primi 2 anni del suo mandato la più grande recessione (e il relativo crollo di Borsa) dal 1929.

Anche l’amministrazione Obama, grazie a politiche di tassi bassi prolungati ha cercato di ridare slancio all’economia; portando il Dow Jones sopra i 18.000 punti e ai suoi massimi storici assoluti.

E adesso? Quasi un anno fa l’America ha scelto il suo 45° Presidente e se avessimo confidato in questa teoria dei cicli di borsa legati al ciclo delle elezioni, avremmo dovuto aspettarci un 2017 all’insegna del mercato Orso. Proprio a dimostrazione del fatto che il passato non si ripete mai uguale a se stesso, dal giorno delle elezioni il Dow Jones ha invece guadagnato quasi il 25% in 11 mesi.

Nelle figure di inversione il pullback rappresenta il tentativo dell'azione, solitamente non riuscito, di rimanere all'interno del trend
Fonte: Morningstar

Democratici o Repubblicani?

Ma dobbiamo essere contenti che a vincere siano stati i Repubblicani (guidati dal controverso Trump) oppure avremmo dovuto sperare nell’affermazione dei Democratici (rappresentati da Hillary Clinton)?

Ancora una volta se vogliamo analizzare le statistiche del passato, abbiamo almeno sei possibili scenari che si configurano in base alla “corrente” del Presidente e del Consiglio.

Fonte: nostra elaborazione su dati del libro “The little book of stock market cycles”

 

Wall Street sembra quindi preferire in generale un presidente Democratico rispetto ad uno Repubblicano. La performance media annua del Dow Jones con un presidente Democratico è stata sensibilmente superiore a quella ottenuta con un Presidente Repubblicano (10% vs 6.8%).

Allo stesso tempo però Wall Street accorda la sua preferenza al Congresso Repubblicano, dal momento che indipendentemente dal tipo di Presidente, i risultati migliori sono stati ottenuti quando il Congresso è stato controllato totalmente dai repubblicani.

C’è poi un’altra statistica interessante secondo la quale, in generale il mercato tende a performare meglio quando il presidente in carica viene rieletto per il suo secondo mandato. Nelle ultime 13 volte in cui un Presidente ha corso per la sua ri-elezione , nell’anno successivo all’elezione il Dow ha guadagnato in media quasi 7 punti percentuali rispetto a un ben più misero 1% nel caso in cui lo sfidante battesse il Presidente in carica.

Purtroppo, gli amanti delle statistiche non hanno potuto fare affidamento su questo punto nel 2017, dal momento che Barack Obama non ha avuto possibilità di presentarsi alla Corsa per la White House, avendo raggiunto il numero massimo di mandati (due) previsti dalla Costituzione.

In estrema sintesi quindi, se volessimo incorporare queste statistiche nella nostra strategia di investimento, dovremmo aspettarci un quadriennio sostanzialmente positivo dal momento che sia il Presidente che il Congresso sono in mano ai Repubblicani; il primo anno, che generalmente si dimostra quello più avaro in termini di rendimenti (e soggetto a possibili inizi di cicli Orso) ha già riservato sorprese molto positive per gli investitori.

E per quanto riguarda il mercato italiano? In questo caso diventa più difficile fare lo stesso tipo di considerazioni per una serie di motivi diversi.

In primo luogo il mercato italiano è un mercato molto piccolo a livello internazionale e quindi spesso influenzato da più fattori esogeni (trend mercati più grandi, eventi geo-politici di portata internazionale) che non da eventi di carattere nazionale. La stessa economia italiana risente dei cicli economici internazionali mentre quella statunitense non a caso è spesso definita la locomotiva dell’economia mondiale.

In secondo luogo la struttura delle cariche politiche è differente tra la repubblica presidenziale e quella parlamentare: la carica del Presidente degli Stati Uniti è diversa per potere (in USA il Presidente è sia capo di Stato che di Governo); modalità di elezione e “centralità” nel sistema di governo del Paese (quindi con riflessi più diretti anche sugli aspetti di politica economica).

Infine, se anche volessimo considerare per l’Italia non la durata in carica del Presidente della Repubblica ma quella del Governo, la significatività potrebbe venir meno poiché dall’entrata in vigore della Costituzione ad oggi si sono succedute diciassette legislature, con una durata media inferiore a quella prevista dalla Costituzione, poiché nella maggioranza dei casi si è andati ad elezioni anticipate. Questa instabilità nei cicli rende difficile quindi trovare una correlazione precisa tra ciclo politico e ciclo economico per il nostro paese.

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